Riceviamo e pubblichiamo con piacere, lettera della nostra Collega Francesca Vaccaro. La Lettera è stata scritta avendo in mente l’assemblea dell’Ordine del 29 dicembre. (per completezza riportiamo anche il pdf originale, qui ).
Eventuali risposte possono essere indirizzate alla collega (vedi albo) oppure, per la pubblicazione, all’indirizzo presidenza [at] ugdcec.pn.it .
Cari colleghi, Desidero sottoporre alla vostra attenzione e a quella di codesto spettabile ordine una riflessione che cercherò di rendere più concisa possibile. Ascolto, come tutti i colleghi, lamentele di ogni ordine e grado nei confronti delle varie politiche (?) fiscali poste in essere negli ultimi anni, per non parlare degli ultimi mesi. Fin qui niente di nuovo. Ascolto, altresì, molte annotazioni “colorite” che fanno ampiamente intendere quanto il contribuente veda noi e la nostra categoria quali complici, di fatto, di questo sistema. Non distinguendo, in taluni casi, l’importo che deve essere pagato a noi per la nostra prestazione e l’importo che è dovuto allo stato a titolo di imposte, per esempio. Oppure accusandoci, più o meno implicitamente, di essere contenti e non solo, di alimentare, il proliferare delirante di adempimenti, scadenze, calcoli e ricalcoli… “Perché se così non fosse, allora cosa aspettate voi commercialisti a protestare”? “Ma voi, commercialisti, non dite niente?” A me ribolle il sangue e mi sforzo di spiegare, di far capire. E poi penso che la mia è una singola opinione, cosa vuoi che conti….fino a che non ricordo che, con fatica ed investimento, anche economico, un bel giorno mi sono iscritta ad un ordine professionale. E che lo sono ancora. Locale, e in seconda battuta, nazionale. La nostra professione ha un albo! E qui casca il famoso asino. Se non erro, pur con parole diverse dalle mie, sia la Costituzione che il Codice Civile prevedono che la professione intellettuale (art. 33 Costituzione) sia compiutamente regolata da un insieme di norme di carattere pubblicistico poste a tutela di interessi collettivi. Se ci muoviamo tutti i giorni imbrigliati da mille norme e mille vincoli, se per lavorare abbiamo dovuto iscriverci all’albo, se abbiamo un esame di stato e unobbligo di formazione continua, è perché il nostro lavoro è importante per la collettività. E che ha senso per la tutela di interessi collettivi. Vogliamo cominciare a farci sentire da questa collettività? A spiegare quello che stiamo facendo? A far sentire anche la nostra di voce, quando si introducono leggi o adempimenti demenziali? A protestare quando si introducono adempimenti in palese violazione dello statuto del contribuente? Perché il nostro ordine è sempre in silenzio, o almeno è così che viene percepito? Se non siamo noi ad alzare la voce e a difendere la famosa collettività, per quel che è di nostra competenza, a chi spetta il compito? Non dico di andare sempre a Porta a Porta (ma poi, perché no? Quando c’è Befera dovremmo esserci anche noi!) ma un articolo su un quotidiano, una protesta che venga amplificata e diffusa anche all’utente “medio”, dovrebbe essere una costante. Non solo articoli che transitano sulla nostra stampa di settore. Anche qui, a Pordenone. Non c’è niente che possiamo fare, partendo dal piccolo, come Ordine? Io credo proprio di sì. E senza sforzi smisurati. Siamo un ordine piccolo, basterebbe esserci, farsi sentire. E il cliente ci guarderebbe diversamente. E anche il contribuente in generale, che magari inizierebbe a sentirci dalla sua parte. Non un esattore per il quale, non fosse abbastanza, deve anche pagare. Non sarebbe un bel cambiamento? Siamo nel 2013, non credo che il commercialista possa più contare su qualche rendita di posizione solo perché ha una qualifica e un ufficio. Se la percezione del nostro lavoro migliora, sarà più facile per tutti lavorare e lavorare anche per il cliente, non solo per l’Agenzia delle Entrate. Non è evidente il posto che occupiamo nella gerarchia del contribuente, adesso? Lo stesso posto che hanno le nostra parcelle. Che sono sempre le ultime della fila, per l’appunto, dopo gli F24.